4 luglio, Independence Day. Quattro amici casertani al bar
– Quando si avvicina il 4 di luglio ancora mi capita di fermarmi a riflettere un attimo su una serie di impliciti che sono – per me – collegati a questo giorno. Forse è pure inevitabile, avendo fatto una scelta di vita che mi ha portato e mi porta a frequentare un Paese lontano e, al tempo stesso, vicinissimo, pieno di contraddizioni e di sfaccettature. E di esperienze storiche che fanno pensare.
Racconto un piccolo evento: la sera della vigila del 4 di luglio di qualche anno fa ero seduto ad un tavolino fuori al Caffè Graffiti, in Hanover Street, a Boston, unico posto in città dove si poteva prendere un espresso degno di tale nome. Al tavolino vicino, quattro o cinque avventori, di una certa età. Uno di loro si alza per andarsene e saluta gli altri in questo modo: “Compa’, facite nu buone fourth of July.” Frase molto semplice, anche banale se vogliamo. Ma se guardiamo bene essa nasconde una serie di spunti: una miscela di linguaggi e culture, di tradizioni e modernità, confezionata con una manipolazione di simboli come rituali, dialetti, parentele simboliche e che di fatto dimostra come i confini culturali, in questo caso tra Italia e Stati Uniti, vengano continuamente attraversati. E dimostra ancora una volta che l’identità etnica è un costrutto culturale, malleabile e negoziabile. Comunque inventata.
In primo luogo, la persona usa il termine Compa’, che è una contrazione dell’italiano Compare. È noto come la parentela simbolica del comparaggio sia una complessa istituzione culturale di straordinaria importanza. Viene sancita durante cerimonie fondamentali per la religione cattolica, come battesimo, cresima o comunione. Il compare (o comare) diventa così il mentore, il punto di riferimento per il bambino o la bambina. Inoltre, specie nel Sud, il comparaggio può essere stipulato anche con i santi, ad esempio San Giovanni o San Michele, in genere come protezione contro il diavolo.
La seconda parte della frase è facite nu buone…, un semplice augurio detto in dialetto napoletano. Si potrebbe ipotizzare una traduzione dalla tradizionale formula di saluto inglese have a nice… ma per il momento mi limito a segnalare l’uso del dialetto.
La terza parte della frase è fourth of July. E qui due sono le cose da notare: in primo luogo la persona passa all’uso della lingua inglese, e, in secondo luogo, fa riferimento a quella che, con il giorno del Ringraziamento, è la più importante festa americana, dove si celebra non solo l’indipendenza del Paese, ma anche una dichiarata identità culturale.
In un brevissimo tempo, con questa frase la persona ha operato cambiamenti linguistici che vanno dall’italiano, al dialetto napoletano, all’inglese (americano), mentre si muove da simboli culturali tipicamente sud-europei a quelli più marcatamente americani.
Per me, questo dimostra il doppio aspetto di quella che è una vera e propria invenzione, vale a dire l’identità etnica. Di fatto ognuno di noi sceglie cosa essere (italiano, napoletano, americano) ed è una scelta effimera, che cambia in continuazione, in quanto è connessa al determinato momento, alla situazione.
Dimenticavo, subito dopo la frase il signore in questione mi riconobbe. Ci eravamo visti durante la festa dei Santi Cosma e Damiano, che si svolge a Cambridge, celebrata dagli emigranti di Gaeta a partire dalla fine del XIX secolo. Mi saluta con una abituale Paesa’, come stai? e mi presenta ai suoi amici: “Questo è Augusto, ed è pure lui casertano.” No, nessun errore. Quando i suoi antenati hanno lasciato l’Italia, Gaeta era provincia di Caserta, dunque, usando la sua identità regionale è casertano anche lui…..almeno per il momento.
Siete confusi? Lo spero proprio. Perché a giocare con l’etnicità questo succede, ci si incasina.
* Antropologo culturale, Lecturer alla Boston University
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