Che metamorfosi! Carditello celebra il tragico mito di Atteone
Il mito di Atteone cantato nelle Metamorfosi di Ovidio e in tanti altri testi letterari, ma anche raffifurato in molte testimonianze d’arte, a partire dal gruppo scultoreo della fontana maggiore della Reggia di Caserta, opera di Tommaso e Pietro Solari, Paolo Persico e Angelo Brunelli. Per il quinto appuntamento “Dialoghi di Carditello_Le Metamorfosi” che stanno tenendo banco il sabato mattina nel real sito, il 20 maggio è stata la volta di “Atteone. Immagini di una colpa tragica”. A relazionare Gennaro Carillo, docente della Facoltà di Lettere dell’Università degli Studi Suor Orsola Benincasa. Le letture delle riscritture del mito sono state dell’attore casertano Roberto De Francesco, interprete straordinario anche in questa occasione.
In sala il presidente della Fondazione Real Sito di Carditello Luigi Nicolais e la direttrice Angela Tecce. Ha fatto seguito la visita alla dimora borbonica e la degustazione di prodotti locali a cura della Coldiretti. Il ciclo di incontri a ingresso gratuito è realizzato in collaborazione con le associazioni Astrea, Sentimenti di Giustizia e A voce Alta, per approfondire i temi legati alla natura, al territorio e alla cultura.
Atteone – come si legge in una nota diffusa alla stampa – è uno dei miti di metamorfosi più fortunati, anche dal punto di vista iconografico. Un mito che ha dato vita a quella che Massimo Cacciari chiama la “lingua materna” dell’Europa: un “sistema” di miti, simboli e allegorie facilmente decodificabili anche da parte del pubblico non colto e disponibili a un riuso virtualmente infinito, sia alto sia basso. Da Petrarca a Gombrowicz, da Marino a Proust, da Bruno a Kafka, la cultura europea ripensa di continuo Atteone. A Ovidio, cui si deve la canonizzazione del mito, si rifanno i pittori, Tiziano in testa. E la Diana di Tiziano, dea vergine e mortifera, diventa nel contemporaneo, Kim Cattrall, la Samantha Jones di Sex and the City, dunque un’icona Pop Camp, a dimostrazione che il mito può sopravvivere solo perdendo il “tremendo” che ne contraddistingueva le versioni più remote.
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