Ciao Pablito! Con la scomparsa di Paolo Rossi finisce un’epoca
– Paolo Rossi, il comico, in molti dei suoi spettacoli degli anni ‘80 si divertiva spesso a raccontare, con chiaro fare ironico, le situazioni che si venivano a creare quando gli venivano controllati i documenti, a seguito del fermo ai posti di blocco, da parte delle forze dell’ordine. Alla lettura del suo nome e cognome seguiva l’incredulità degli agenti, tanto che venivano messe in discussione le sue stesse generalità fino a dichiararle false. A quel punto giungeva pronta la sua risposta: “Guardate, non è che in Italia c’è un solo Paolo Rossi, quello della nazionale”.
Eppure, a distanza di quasi quarant’anni dalla conquista della Coppa del Mondo in Spagna, da parte dell’allora squadra di calcio guidata da Enzo Bearzot, nell’immaginario collettivo italiano quel nome e cognome, così comuni e anonimi, hanno riportato sempre e soltanto a una sola persona: il mitico Pablito. Questo è il soprannome che venne attribuito dai tifosi nostrani a Paolo Rossi, un nomignolo che stabiliva affetto, confidenza e riconoscenza nei suoi confronti, poiché con i suoi gol e i suoi scontri diretti con le favorite del tempo, in particolare contro l’Argentina e il Brasile, aveva trascinato il suo team fino a raggiungere la vetta del mondo calcistico, ottenendo, altresì, il titolo di capocannoniere e ricevendo, poco dopo, il Pallone d’Oro.
Paolo Rossi era “uno di noi”, un ragazzo di provincia, nato a Prato, partito dal nulla, la cui carriera sportiva, oltre alla fama riconosciuta a livello internazionale, è stata caratterizzata anche da parentesi buie, come il coinvolgimento nella vicenda del calcioscommesse ai tempi della sua militanza con il Lanerossi Vicenza. Nonostante le implicazioni giudiziarie, Paolo Rossi riuscì a risalire la china, ottenendo la fiducia di Bearzot, che lo convocò in nazionale già nel 1978, e venendo acquistato, poi, dalla Juventus, squadra con cui ha vinto praticamente tutto: dallo scudetto alla Coppa dei Campioni, per quanto quest’ultima è stata per lui un triste ricordo a causa dei fatti “di sangue” che si verificarono allo stadio Heysel di Bruxelles.
Rossi non aveva la tecnica di Platini e neanche l’estro di Maradona. Il giornalista sportivo Giorgio Tosatti lo definì “un impasto Nureyev e Manolete, un giocatore con la grazia del ballerino e la freddezza del torero”. Dopo svariati successi, Rossi concluse la sua carriera, nel 1987, militando nel Verona. Successivamente, molteplici sono stati i suoi interessi e poliedrica la sua figura: da scrittore a politico, senza dimenticare il suo passato da cantante. Con la sua dipartita finisce un’epoca, quella delle partite di calcio giocate nei pomeriggi delle domeniche italiane, quando i calciatori avevano volti, nomi, sorrisi e passioni più umane che mitiche. Ciao Pablito.
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