È Carnevale, arrivano in tavola i dolci della tradizione campana

È Carnevale, arrivano in tavola i dolci della tradizione campana

Luigi Fusco

Carnem levare, ovvero il Carnevale, la festa per eccellenza in cui avviene lo scioglimento degli obblighi sociali e morali per lasciare spazio allo scherzo e al disordine. Generalmente riferita all’ultimo giorno della solennità, il martedì grasso, in realtà il suo inizio avviene il giovedì della settimana precedente. Insieme alla domenica, tali giorni sono deputati anche alle pantagrueliche mangiate che vengono approntate per l’occasione. Dalle lasagne alle polpette, per terminare con i dolci, tanti sono i piatti tipici campani della tradizione carnevalesca. In particolare, grande attenzione è rivolta proprio alla preparazione di torte, paste frolle e dessert di ogni sorta.

Tra questi, grande risonanza ha, in tutta la regione, il migliaccio. Il suo termine deriva dal latino miliaccium ed è un piatto fortemente radicato nella più remota consuetudine gastronomica della civiltà contadina campana. In origine veniva preparato con il miglio mescolato al sangue di maiale. In tempi più recenti sono stati sostituiti i suoi storici ingredienti. Difatti, viene utilizzata la semola macinata con ricotta, zucchero, latte, uova e fiori d’arancio. Il dolce intruglio viene poi riposto in un tegame di rame per esser cotto al forno per circa un’ora. Oltre le sue caratteristiche olfattive e gustative, singolari sono pure quelle visive, in quanto il migliaccio si distingue per la sua crosta morbida, umida e dal colore dorato.

Altro dolce tipico di Carnevale sono le chiacchiere che, secondo alcuni studiosi, risalgono all’età romana. Anticamente venivano, infatti, preparati dolcetti simili a base di uova e farina, noti come frictilia. Questi venivano fritti nel grasso di maiale e soprattutto la loro elaborazione spettava esclusivamente alle donne romane, che ne producevano in gran quantità specialmente durante il periodo riservato ai festeggiamenti dei Saturnalia. In ambiente napoletano presero, poi, il nome di chiacchiere, in virtù della simpatica storia riguardante Margherita di Savoia. Si narra che alla regina, dopo una lunga chiacchierata con dei suoi ospiti a corte, le venne una gran fame e chiese al suo monzù Raffaele Esposito di cucinare un dolce spuntino per lei e per i suoi ospiti che, per l’occasione, venne definito chiacchiera.

Non prettamente campane, ma comunque tipiche del periodo di Carnevale, sono le castagnole, la cui ricetta risale al Settecento. Gli ingredienti principali sono tuttora uova, zucchero, farina e burro. Dopo averle impastate, fino a formare una pallina grande come una noce, vengono poi fritte in olio bollente per esser servite con zucchero a velo o miele.

Vero e proprio must dei dolci carnascialeschi è, infine, il sanguinaccio. Di origini pagane, il suo ingrediente principale era, fino a poco meno di una trentina di anni fa, il sangue di maiale. Raccolto durante la macellazione, veniva, poi, continuamente mescolato per evitarne la coagulazione. Successivamente veniva filtrato e mescolato con crema di cacao, a cui si aggiungevano eventuali spezie.

La sua preparazione era strettamente connessa alle consuetudini del mondo contadino e alla ciclicità delle stagioni. Agli inizi degli anni Novanta, l’impiego del sangue di maiale è stato bandito, in quanto considerato veicolo di infezioni batteriche e pertanto non idoneo per la confezione di qualsiasi pietanza dolce o salata che sia.

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Luigi Fusco - Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.

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