Functional Food, la nuova frontiera del benessere
Carmen Serena Santonocito
– Capita spesso di imbattersi tra i vari reparti del supermercato in mele per diabetici, uova senza colesterolo, curiose miscele di caffè proteico o bevande vegetali addizionate di vitamine e minerali vari. Diciture come “per la salute delle tue ossa” o “favorisce la riduzione dei livelli di colesterolo” sono ormai frequenti e forse solo il consumatore attento si sarà accorto che mentre in passato si è assistito ad una vasta fioritura dei più disparati slogan salutistici, a partire dal 2006 la creatività di tali diciture si è appiattita per dare spazio ad uno specifico protocollo emanato dalla Comunità Europea per l’utilizzo delle indicazioni nutrizionali e sulla salute dei prodotti imballati. Nel novero di tali regolamenti rientrano anche i cosiddetti functional foods, presenti da almeno un decennio negli scaffali della grande distribuzione italiana e quindi anche nelle nostre tavole. Non sono mancati accesi dibattiti sia nell’ambito delle scienze alimentari sia in ambito giuridico e commerciale, date la poca chiarezza sugli effettivi risvolti salutistici di tali alimenti, e l’assenza di una precisa normativa giuridica che ne disciplini l’utilizzo onde evitare l’insorgere di ammalianti quanto controverse aspettative benefiche. Cerchiamo, in questa sede, di rintracciare quanto meno le origini di questo termine così discusso e sul quale, evidentemente, c’è ancora bisogno di spendere più di qualche semplice chiacchera.
Partendo dalla nostra lingua e soffermandoci su fonti prescrittive quali i dizionari, l’ultima edizione del Devoto Oli considera il termine un prestito integrale della lingua inglese, poiché ne mantiene sia la grafia che la pronuncia inalterata. La letteratura scientifica ci parla delle prime attestazioni di functional food già nel Giappone degli anni Ottanta quando nel paese del Sol Levante il ministero decise di regolamentare lo status di determinati alimenti con comprovati effetti sulla salute e sull’aumento della longevità della popolazione.
In inglese, il Cambridge Dictionary si sofferma sul processo di arricchimento degli alimenti che vengono addizionati di sostanze volte ad incrementare i benefici per la salute. Il significato riportato è il seguente: “a food to which vitamins, minerals, or drugs have been added to make it healthier”. Inoltre, il termine nutraceutical, indicato come sinonimo, è passato nella nostra lingua nella sua versione adattata nutraceutico (composto dagli aggettivi nutritional e pharmaceutrical). Passando in rassegna un dizionario specialistico come l’Oxford Food and Fitness. A Dictionary of Diet and Exercise, la definizione qui risulta più articolata e completa in quanto si inglobano nella categoria anche alimenti che non hanno subito alcuna trasformazione chimica ma che sono ricchi di sostanze come vitamine, minerali, fibre e acidi grassi essenziali in quantità superiori rispetto ad alimenti affini. La definizione in questione è la seguente: “a food that contains biologically active ingredients which have positive effects on mental and physical health, fitness, and body functions beyond the basic energy requirements of an individual. Functional foods include unprocessed foods that contain specific minerals, vitamins, essential fatty acids, or dietary fibre, and food artificially fortified with substances such as phytochemicals, antioxidants”. L’aspetto di completezza dei benefici per l’intero dell’organismo sotteso nell’aggettivo functional è presente anche in altri composti, alcuni considerati estensioni del termine, come “functional bread”, altri invece afferenti ad altre sfere, come il rinomato “functional training”. Entrambi gli esempi sono entrati a far parte della lingua italiana tramite adattamento, ed oggi si trovano agevolmente in rete articoli sugli effetti miracolosi del pane funzionale, e allo stesso modo nelle palestre ci si aspetta il miracolo dall’allenamento o dalla ginnastica funzionale.
Nella nostra bella lingua la prima attestazione di functional food risale a cavallo tra gli anni Novanta e il Duemila, ma è solo nel 2008 che il dizionario Treccani riconosce il termine come neologismo. Di tempo ne è passato, perché mentre il neologismo non adattato ha già compiuto dieci anni (o forse venti?) dalla sua prima attestazione, oggigiorno possiamo parlare di cibo funzionale o di alimento funzionale senza timore di venir fraintesi. Infatti, il passo dal prestito integrale – functional food – alla sua variante adattata – alimento funzionale – è stato agevolato dall’immediatezza della traduzione letterale in lingua italiana.
*dottoranda in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche presso l’università di Napoli “Parthenope”
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