Il dilemma è susamiello o roccocò, il sapore della Napoli greca
– Altro che panettoni e pandori! L’enogastronomia campana tiene fede alle tradizioni locali e pertanto anche quest’anno, nonostante le ristrettezze anti-covid, non mancheranno sulle tavole nostrane guantiere ricolme di susamielli, struffoli, mustaccioli e roccocò; dolci sempre attuali, tanto apprezzati da ogni palato, eppur così antichi. I primi, in ordine di apparizione, venivano chiamati, nelle epoche passate, sesamelli o anche sapienze, denominazione, quest’ultima, che si riferiva al convento di Santa Maria della Sapienza a Napoli, cioè al sito dove venivano preparati, a partire dal XVII secolo, tali biscotti. Le origini della loro ricetta risale, invece, all’età greca; difatti, dolciumi simili, a forma di “S”, venivano preparati per esser offerti a Demetra e a sua figlia Kore, divinità che venivano celebrate nel corso dei riti dedicati ai “grandi misteri eleuisini”. Tali dolci, a base di sesamo e miele, venivano condotti al grande santuario della dea della fertilità come simbolo dell’aidoion muliebre. Infine, secondo alcuni studiosi, il nome susamiello deriverebbe dal greco sesamon, termine che venne, successivamente, latinizzato in sesamun, a cui verrà, poi, associata la parola mel, cioè il miele.
Anche gli struffoli risalgono al tempo della Magna Grecia, tanto che ancora oggi nella cucina ellenica viene realizzato un dolce simile che prende il nome di loukoumades. La loro forma tondeggiante deriva dal taglio di un lungo impasto fatto con uova, farina, strutto e zucchero; procedimento, questo, che rimanda alla metafora cronologica del tempo divorato. Per quanto riguarda gli ingredienti impiegati, pure sono molto semplici, in quanto la pasta dopo esser stata fritta viene condita con miele, pezzetti di cedro, frutta candita e confettini colorati. A seguire, fanno la loro apparizione i mustaccioli; il loro nome è mutuato dal latino mostacea, cioè il mosto, con cui si preparavano molte ricette dolciarie. Già Catone, nel De agri cultura, faceva riferimento ai mustacei, dolci fatti di farina, cumino, anice, grasso animale, alloro e naturalmente mosto di vino. Di forma romboidale, questi biscotti hanno conservato i loro elementi principali nella composizione: dal miele alle spezie, ma nella loro odierna preparazione il mosto non è mai presente. Chiudono il gran trionfo di dolciumi natalizi i roccocò. Dalla conformazione tonda, anche questo biscotto appartiene espressamente alla tradizione campana. Composto da mandorle, farina, zucchero, canditi e pisto napoletano, la sua prima apparizione è datata al 1320, in un documento riguardante le attività culinarie che si svolgevano presso il Convento della Maddalena a Napoli. Il suo nome è, invece, una derivazione dal termine francese rocaille, in quanto la sua struttura evocava le decorazioni a conchiglie, di età tardo-barocca, approntate all’interno di grotte, giardini e palazzi nobiliari.
Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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