L’arte di Tino Stefanoni entra alla Reggia di Caserta
Maria Beatrice Crisci
– Il vernissage è per questo pomeriggio alle 17 alla Reggia di Caserta. La mostra è quella di Tino Stefanoni l’artista internazionale scomparso la settimana scorsa. Il titolo dell’esposizione è “Pittura oltre la pittura” e si svolgerà negli Appartamenti storici, retrostanze del ‘700 della Reggia di Caserta. La mostra è a cura di Vincenzo Mazzarella, Nicola Pedana e Luca Palermo con testo critico di Valerio Dehò. Sarà Enzo Battarra, già curatore della personale dell’artista alla galleria Nicola Pedana di Caserta “Magica concettualità”, a ricordare la figura del maestro. Sarà questa, infatti, la prima mostra che si va a realizzare dopo la recentissima scomparsa del grande artista internazionale, avvenuta sabato 2 dicembre mentre era in corso l’allestimento nella Reggia. Tino Stefanoni era innamorato del Palazzo vanvitelliano e delle sontuose sale, chiedendo lui stesso di potervi esporre. Sarebbe ora felice di poter partecipare al suo vernissage. Grazie ai prestiti da parte dei collezionisti, l’antologica proporrà per lo più opere inedite mai presentate prima in spazi pubblici.
L’esposizione resterà aperta fino al 7 gennaio 2018 tutti i giorni dalle ore 8,30 alle 19.30, martedì chiusa. Il percorso espositivo cronologico si apre con i lavori nei quali si avvertono le suggestioni della Metafisica di Carlo Carrà che Stefanoni predilige rispetto a quella di Giorgio de Chirico, per la sua capacità di far scoprire la bellezza nascosta nella vita quotidiana. Nel ciclo dei Riflessi (1965-1968), i piccoli rilievi tondi diventano la base per dipingere dei paesaggi in miniatura, in cui già si percepisce la cura al dettaglio che diventerà nel tempo una delle cifre più caratteristiche dell’artista lecchese. A cavallo tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, Stefanoni intuisce per primo la possibilità di utilizzare la segnaletica stradale nella rappresentazione della realtà, in maniera ironica e distaccata. Nascono così i Segnali stradali regolamentari, al cui interno sono inseriti oggetti-icona che rispondono all’esigenza linguistica, propria di quegli anni, di far conquistare all’elemento visivo territori che appartenevano alla parola. Queste immagini ritornano protagoniste nelle tele degli anni ’70 che mostrano una “metafisica senza mitologia” con oggetti comuni come matite, mestoli, scope, flaconi, giacche e altro, disposti su ordinate fila, sovrapposti o affiancati gli uni agli altri che dialogano con lo spazio vuoto o segnato da linee geometriche. È il caso del ciclo delle Piastre, guida per la ricerca delle cose (1971), sculture che rispettano la bidimensionalità del disegno o della pittura, o delle Memorie (1975-1976) dove le tracce degli oggetti sono replicati dai segni lasciati dalla carta carbone. In questi lavori, il richiamo alla Pop Art svanisce a favore del rigore dell’arte concettuale, alla quale Stefanoni si avvicina già alla fine degli anni ‘70 con Elenco di cose (1976-1983), una serie quadri realizzati con la lente d’ingrandimento, dove soggetti minimali e quotidiani, estranei alla tradizione della pittura come una cucina a gas o una pinza, diventano protagonisti di una ritrattistica quasi maniacale.
A questa seguirà quella delle Apparizioni (1983-1984) in cui domina l’essenzialità della linea e la distanza dal colore, con immagini impalpabili come colte attraverso un cielo nebbioso. Come afferma Valerio Dehò, autore del testo in catalogo, “Tino Stefanoni non adopera dei simboli, non vuole far aprire le porte all’ignoto o dell’inconoscibile. La sua apparente freddezza racchiude una passione per tutto ciò che di semplice l’uomo sia riuscito a creare, la sua arte ha pochi coinvolgimenti emotivi in questa fase proprio per l’essenzialità della disciplina platonico-cartesiana ma presuppone la complicità dello spettatore, la sua capacità di farsi sorprendere dall’ovvietà come strada per rileggere l’intera realtà. Il lavoro di Stefanoni è cristallo di rocca da scaldare con lo sguardo”.
Dal 1984, con Senza titolo, il colore racchiuso dalla linea nera caratterizza le nature morte e le vedute, mai la figura umana. Sono ambientazioni nelle quali Stefanoni recupera, senza mitizzarla, la Metafisica, ma in cui è sempre presente la memoria della lezione di eleganza e rarefazione del Beato Angelico, al quale spesso Stefanoni si richiama per la passione per l’osservazione, legata alla rivelazione delle geometrie segrete tra gli oggetti e gli elementi del paesaggio.
Le sue casette, i suoi alberi sono oggetti ridotti all’essenziale, alla semplicità di una forma riconoscibile, quasi illustrativa. Sono elementi della storia dell’arte italiana che diventano icone, per questo devono essere comprensibili, proprio perché hanno dei valori diversi dalla semplice rappresentazione.
I paesaggi o le nature morte che costituiscono gran parte del lavoro di Stefanoni non vogliono spiegare o raccontare, quanto rappresentare uno stato delle cose.
Anche le sue più recenti Sinopie, richiamando la tecnica dell’affresco, riflettono questo suo inserimento nella classicità del dipingere e aprono a delle forme di azzeramento del colore e dei contorni dei paesaggi, fino a diventare semplice pittura, sempre alla ricerca dell’essenzialità.
Accompagna la mostra un catalogo edito dal Comune di Lecco con, oltre ai testi istituzionali, un saggio critico di Valerio Dehò.
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