Le madri di Capua, il culto per la donna nella Campania Felix

–Iovia Damusa, Damia o Bona Dea, protettrice delle partorienti; erano queste le divinità che venivano affiancate alla Mater, il cui titolo era Matuta, cioè dea del mattino o dell’aurora, il cui culto era diffuso nell’antica Capua e nel resto della Campania Felix, tra il VI secolo a.C. al I secolo d.C.
Alla grande Madre, propiziatrice anche della fertilità della terra, era dedicato un Santuario, i cui resti vennero rinvenuti, già agli inizi dell’Ottocento, nel cosiddetto Fondo Patturelli, area oggi compresa tra i comuni di Curti e di Santa Maria Capua Vetere.
Tale tempio era collocato all’interno di un bosco, dove sorgeva anche una necropoli. Dal mondo dei morti a quello dei vivi, attraverso il processo di rinascita; era questo il fondamento principale che sorreggeva la singolare venerazione per questa divinità italica, il cui impianto iconografico era del tipo Kourotrophos, caratterizzato attraverso la rappresentazione di una donna, in stato post-parto, con in grembo uno o più bambini in fasce. Questo modello figurativo era preso in considerazione per la produzione di ex-voto, realizzati in scultura tufacea, che venivano destinati al sacello suddetto.

Al momento della loro prima scoperta, ben 600 pezzi furono rinvenuti, di cui 150 sono oggi conservati presso il Museo Provinciale Campano di Capua. Per quanto cospicuo fosse il numero di questi reperti, la loro visione, per lungo tempo, non destò particolare meraviglia e attrazione tra i loro primi studiosi. Alcuni antiquari, addirittura, le definirono tozze e mostruose che sembrano rospi. Del resto, il loro impianto formale era ben lontano dalla bellezza classica, di ispirazione greca, ma è anche vero che rispondeva ad altre prerogative: di matrice devozionale e con funzione apotropaica.
Per gli antichi campani, la donna aveva un ruolo importante sia nella dimensione familiare che in quella sociale. Alle figure femminili venivano associate alcune divinità, soprattutto quelle che venivano invocate per garantire la ciclicità della vita e del raccolto della campagna. Prima del processo di romanizzazione, nell’area campana era diffuso il culto per la donna e pertanto l’uomo doveva apparire ai suoi occhi bello e acconciato alla moda del tempo. La società vigente era di tipo matriarcale e la Mater Matuta, in quanto figura ctonia, era considerata tra i numi più importanti.
Le Madri, in quanto sculture, rispondevano al realismo popolare espresso da una comunità i cui valori erano sostanzialmente legati alla terra e ai suoi processi di coltivazione; al contempo, gli stessi campani rivolgevano preghiere, intrise di poetica spiritualità, alla dea della maternità, indirizzando le proprie speranze verso l’evento della creazione, ritenuto come una vera e propria rivelazione sacra.

Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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