Rubrica. Una parola al mese: “Generazione Bataclan”
Carolina Iazzetta* -La locuzione “generation Bataclan” è stata coniata e utilizzata per la prima volta dai giornalisti del quotidiano francese Libération all’indomani degli attacchi terroristici del 13 novembre 2015 alla sala concerti parigina Bataclan. Tale etichetta si è poi diffusa radicalmente nella stampa europea che si è servita dei corrispettivi equivalenti traduttivi nelle varie lingue per descrivere una generazione di giovani non più artefice degli eventi come quella del maggio ‘68, ma vittima dei tragici episodi che nell’ultimo decennio hanno insanguinato l’intera Europa e in particolar modo la Francia.
L’espressione, tradotta dai media italiani con “generazione Bataclan”, nasce dal bisogno di etichettare una generazione frutto di quella Erasmus, una famiglia di giovani attivi, creativi, poliglotti, interculturali che frequentano sale concerto come simbolo di libertà e di convivialità e che si scambiano idee nei bistrot, nei caffè o sulle terrazze cittadine e per questo considerati un pericolo dagli integralisti islamici. Il teatro Bataclan, infatti, situato nell’11arrondissement di Parigi, una zona al tempo stesso borghese, progressista e multietnica, la sera del 13 novembre era affollato soprattutto da studenti e lavoratori di ogni nazionalità di un’età compresa tra i 20 e i 30 anni venuti ad assistere ad un concerto rock.
Tale generazione include non solo le centinaia di ragazzi uccisi o feriti mentre ascoltavano musica al club Reina di Istanbul, al Pulse di Orlando, alla Manchester Arena o a Parigi, quelli che passeggiavano sul lungomare di Nizza o che sorseggiavano un bicchiere di vin chaud tra i mercatini natalizi di Strasburgo, ma anche tutti coloro che in ogni parte del mondo provano empatia e solidarietà nei confronti dei coetanei morti, in quanto condividono con questi ultimi gli stessi ideali, le stesse passioni e gli stessi luoghi di intrattenimento.
La generazione Bataclan non vuole darla vinta a quella cerchia di coetanei fanatici che colpiscono gli stessi luoghi in cui sono cresciuti e la stessa cultura che li ha accolti, ma è l’emblema di una generazione che continua a frequentare luoghi di cultura e di intrattenimento e che ha adottato il romanzo autobiografico Paris est une fête di Ernest Hemingway, come un nuovo inno a quell’edonismo che gli attentati cercano di sradicare.
*Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
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