Sant’Antonio, quel fuoco purificatore che manda via il demonio

Sant’Antonio, quel fuoco purificatore che manda via il demonio

Luigi Fusco

-Come da tradizione, Il 17 gennaio, ricorre la celebrazione di Sant’Antonio abate, a cui è legato il rito del “fuoco purificatore”. Il culto del “Santo con il porcellino” è diffuso in tutta la Campania ed in suo onore vengono allestiti enormi falò, vengono benedetti gli animali domestici e, infine, si balla e si canta al ritmo di “tammurriate”.
Anche in Terra di Lavoro, soprattutto in alcune località che hanno mantenuto una precipua dimensione
rurale, ancora molto sentite le consuetudini relative alle celebrazioni di Sant’Antuono, la cui figura si pone a metà tra la narrazione cristiana e leggende popolari. Si racconta che Sant’Antonio sia nato agli inizi del III secolo a Coma in Egitto.
Dopo aver compiuto il ventunesimo anno di età vendette tutti i suoi beni per intraprendere una vita
ascetica, isolandosi dal mondo come un vero e proprio eremita. Successivamente si ritirò nella regione di
Pispir, portando avanti la preghiera e lottando in maniera incessante contro il demonio e le sue tentazioni.
Nei momenti di pace, il santo si “distraeva” dalle orazioni e si dedicava alla coltivazione di orti o alla
produzione di stuoie. Nel contempo compiva miracoli, convertiva i pagani e lottava contro l’arianesimo.
Morì ultracentenario nel 356.
La sua iconografia ebbe larga fortuna a partire dall’età alto medioevale. Sant’Antonio indossa l’abito da eremita ed ha con sé il bastone a forma di τ a cui è sospesa una campanella. Affianco a lui c’è sempre il maiale, mentre ai suoi piedi compare spesso il diavolo, simbolo del male che viene sconfitto dal bene.
Tra le sue varie raffigurazioni c’è quella delle “tentazioni”, il cui motivo si diffuse in tutta Europa.
Meno conosciuto è invece il soggetto relativo all’incontro tra Sant’Antonio e Paolo eremita, di cui si
conserva una straordinaria raffigurazione in un affresco presente sulla facciata principale della Basilica di
Sant’Angelo in Formis. Secondo la cultura popolare, Sant’Antuono è il protettore dei macellai, salumieri, canestrai e degli animali domestici. Egli è invocato contro l’herpes zoster, il cosiddetto “fuoco di Sant’Antonio”, e sin dal medioevo è considerato il padre di tutti i monaci.
In molti territori vengono a lui dedicati grossi roghi meglio noti come e “cipp e’ Sant’Antuono”.
Il fuoco è l’espressione di un rito di purificazione che si unisce all’invocazione al santo.
Attorno alle cataste di legna che ardono si riunisce la comunità dei fedeli, poiché solo bruciando ciò che è legato al passato si distrugge ogni forza sfavorevole.
Anticamente, una volta consumatosi il fuoco i partecipanti erano soliti raccogliere un po’ di cenere con i
tizzoni spenti e li portavano poi nelle proprie case per estinguere qualsiasi male.
Non solo il fuoco accompagna la festività di Sant’Antuono, ma anche la musica, quella delle tammurriate e dei bottari, aprendo così la stagione del carnevale e rinnovando la ciclicità delle stagioni e il ritorno della
luce.

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Luigi Fusco - Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.

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