Una parola al mese. Desiderare, la natura umana nella sideralità

Una parola al mese. Desiderare, la natura umana nella sideralità

*Roberto Petrazzuolo -La parola “desiderare”, dal latino desiderium, esprime una condizione di bramosia, di mancanza, di tensione verso qualcosa che non si possiede. Il suo fascino etimologico affonda nella radice sidus, che significa “stella”. “Desiderare”, dunque, è letteralmente “sentire la mancanza delle stelle”. Potrebbe trattarsi di una parola costruita per antitesi a “considerare”, che deriva da con-siderare, ovvero “osservare le stelle”, e trova le sue origini nella pratica latina dell’astromanzia.
Oltre alla sua indubbia bellezza fonica, “desiderare” è una parola che veicola una storia antica, profondamente umana. Il legame fra l’uomo e le stelle è di lunga data. Come in un’amicizia sincera, gli uomini hanno mosso i loro passi con i cieli stellati. Le luci notturne ci hanno guidati, ci hanno protetti, ci hanno permesso di sopravvivere. Uno degli indubbi vantaggi che l’Homo erectus ha avuto è stato quello di poter alzare gli occhi al cielo. Vedendo le stelle, è stato capace di orientarsi, di migrare, di appropriarsi in qualche modo di una primaria nozione del tempo e della spazialità. Tuttavia, il legame fra l’uomo e le stelle non è stato solo utilitaristico, ma anche sentimentale. Alle stelle abbiamo affidato i nostri racconti. La nomenclatura stellare ci riporta, nella distanza, a una storia umana. I cieli sono costellati di miti e di nomi umani, e da sempre ci istruiscono sulla nostra stessa storia. La funzione delle stelle, nella mitologia greca, è in qualche modo salvifica e pietosa. Così, le Pleiadi, cacciate da Orione, diventano stelle.
Così Callisto, così Andromeda. Non mancano storie in cui il destino stellare è visto come una punizione.
Ma le stelle non sono solo custodi della nostra storia, bensì anche rivelatrici del nostro
destino. Alle stelle abbiamo chiesto il futuro, le abbiamo interrogate sul senso delle
nostre scelte e le abbiamo elette a giudici supremi delle nostre decisioni. Ancora oggi,
attraverso l’astrologia, moltitudini di persone cercano un senso che sia in qualche modo
stabilito da configurazioni spaziali e temporali delle stelle. Su questo aspetto potrebbe
anche posarsi il termine “desiderare”, opponendosi formalmente a “considerare”. Se,
infatti, la seconda parola esprime l’atto di osservare le stelle, il “desiderare” ne nega la
possibilità. Il desiderio, quindi, pone gli uomini in una situazione di incertezza, in cui le
stelle non ci parlano più del nostro futuro e ci pongono in una condizione di rimpianto.
In questa accezione, lo stato di desiderio potrebbe essere descritto come una volta si
descrisse Matera: “una dolente bellezza”. Il desiderio è una bellezza che ferisce, ma che
non provoca il bisogno di guarire. Desiderare è una condizione umana. Non è un caso
che sia il campione del desiderio, Ulisse, lo specchio dell’umanità. “L’uomo più felice del

mondo guarderebbe in questo specchio e vedrebbe solo sé stesso”, spiega Albus Silente ad Harry Potter davanti allo Specchio delle Brame. Ma sarebbe davvero un uomo? Il desiderio, forse, è la condizione inalienabile dell’umanità. Siamo esseri manchevoli che, come il visconte dimezzato calviniano, comprendono il mondo solo attraverso le proprie fratture.
Nascosta da qualche parte, nelle pieghe etimologiche della parola “desiderare”, si annida
una parte significativa di noi. Nel lessico di tutti i giorni, portiamo con noi non solo la
storia del nostro legame più intimo, ma anche il senso dell’essere umani: sperimentare la
distanza e il dolore, e, nel dolore, amare.

*Dottorato in “Studi Linguistici Terminologici e Interculturali” – Università degli Studi di
Napoli “Parthenope”

About author

You might also like