Vigilia di Natale a tavola. Il baccalà, tra storia e tradizione

-La sera della Vigilia di Natale, non può mancare, in occasione del tanto atteso cenone, il baccalà, considerato, al riguardo, tra le portate principali. Fritto o in bianco, magari all’insalata, la sua presenza, nel tradizionale menù natalizio campano e italiano in generale, ha origine antiche. Trattasi di un merluzzo proveniente dalle fredde acque della Norvegia che, una volta pescato, viene messo ad essiccare su alte strutture di legno. Furono i popoli provenienti dal nord Europa, nello specifico i vichinghi, che, nel IX secolo, cominciarono a diffonderlo, attraverso i loro commerci, nel resto del continente europeo. I norreni della Scandinavia, in particolare, furono i primi ad adottare nuove tecniche di trasformazione del baccalà, in modo da garantirne una maggiore conservazione, così da consentirne il trasporto nei lunghi viaggi in mare che affrontavano a partire dalla primavera.
In area mediterranea, il baccalà venne importato da un nobile ammiraglio veneziano dopo che era naufragato, nel 1432, in acque norvegesi. Piero Querini, questo era il suo nome, ammirò molto la tecnica di essicazione al vento adottata per questo pesce. Al suo ritorno a Venezia, ebbe modo di presentarne le sue qualità, intese in termini di gusto, e la sua convenienza economica. La sua fortuna gastronomica, invece, giunse a seguito dei dettami sanciti con la controriforma avanzata dalla Chiesa di Roma. Nel corso del Concilio di Trento, il 4 di dicembre del 1563, venne emanato un decreto che regolava i digiuni e le astinenze dalle carni, previsti il mercoledì, il venerdì, in tempo di Quaresima e nei periodi delle feste comandate. Questa mutata condizione alimentare favorì, fortemente, l’ascesa del baccalà, la cui consumazione venne, inoltre, promossa dall’arcivescovo Olao Magno, presule svedese, nonché umanista e geografo, che aveva partecipato in maniera attiva al concilio tridentino. Al riguardo, nella sua pubblicazione sul culto di Santa Brigida, scritta qualche anno prima, aveva dedicato al merluzzo secco delle sue terre ampie pagine, descrivendolo come alimento ideale per le cene delle vigilie sacre, poiché le sue carni conciliavano l’anima e il palato.
A partire dalla fine del XVI secolo, il baccalà divenne l’emblema della dieta “di magro”, il cibo dei poveri, il pesce destinato a coloro che vivevano lontano dal mare e che non potevano permettersi quello fresco, appena pescato. Per lungo tempo, esso ha rappresentato la miseria, così come la privazione, e pertanto è stato considerato un simbolo religioso di grande importanza. Soltanto dopo molti secoli, il baccalà è approdato sulle tavole dei ricchi, ma mantenendo i suoi tradizionali metodi di preparazione; diversamente, i suoi costi sono notevolmente lievitati e da pietanza povera, quale era, oggi è diventato un vero e proprio lusso che ci si può permettere soltanto durante il periodo delle festività natalizie.

Luigi Fusco – Docente di italiano e storia presso gli Istituti Superiori di Secondo Grado, già storico e critico d’arte e guida turistica regione Campania. Giornalista pubblicista e autore di diversi volumi, saggi ed articoli dedicati ai beni culturali, alla storia del territorio campano e alle arti contemporanee. Affascinato dal bello e dal singolare estetico, poiché è dal particolare che si comprende la grandezza di un’opera d’arte.
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