Dal Giappone ai social media, rapida ascesa dello stile kawaii
– Bisogna essere adolescenti – o forse sarebbe meglio dire quasi adolescenti – per conoscere il significato dell’aggettivo di origine giapponese kawaii (かわいい), espatriato grazie al successo mondiale degli anime e ormai diffuso nel gergo delle giovanissime teenager occidentali. Ispirato all’universo dell’infanzia, il termine letteralmente significa “carino”, ma anche “adorabile”, “tenero”, con eventuali sfumature secondarie e originali. Il sostantivo giapponese cui si riferisce questo aggettivo è kawaisa (可愛さ), traducibile in inglese col termine cuteness e il cui referente, nella cultura nipponica, rappresenta un aspetto estremamente rilevante, sia dal punto di vista sociale, che economico e politico. Esso difatti si estende all’entertainment, all’abbigliamento, al cibo, ai giocattoli, all’estetica personale, al comportamento fino a condizionare l’atteggiamento, la mimica e la gestualità delle persone.
Da un punto di vista storico-diacronico, la passione del popolo giapponese per la kawaisa (cuteness) si perde nella notte dei tempi: nell’anno mille la poetessa Sei Shonagon scriveva nelle sue celebri Note del guanciale (Edizioni SE, a cura di L. Origlia, 2017) che “tutto ciò che è piccolo è carino”, mentre Tomoyuki Sugiyama, autore del libro Kūru Japan: Sekai ga kaitagaru Nihon (Tōkyō, Shōdensha Shinsho, 2006), il cui titolo si potrebbe tradurre in italiano come “Il Giappone cool: il Giappone che il mondo vuole comprare”, sostiene che le origini della moda kawaii si possano far risalire al periodo Edo (1603-1868) e al gusto per i piccoli oggetti stimolato dalla popolarità dei netsuke, preziosi bottoni scolpiti che permettevano di appendere alla cintura piccole scatole-contenitori, le quali compensavano la mancanza di tasche dei kimono. Ma è negli anni settanta del XX secolo che il gusto nipponico per lo stile kawaii inizia ad assumere i contorni attuali, quando la diffusione della penna a sfera a punta fina diede modo alle giovani teenager giapponesi di sviluppare spontaneamente una nuova calligrafia, un nuovo modo di scrivere, con grandi caratteri arrotondati e disseminato di piccoli dettagli vezzosi – stelline, cuoricini, smiley e lettere dell’alfabeto latino che rendevano il testo pressappoco illeggibile, al punto che tale maniera di scrivere fu bandita da molte istituzioni scolastiche e demonizzata dai media che in quegli anni si occupavano del fenomeno, etichettato come “anomalia calligrafica delle femmine teenager”.
Ma l’ascesa dello stile kawaii era ormai inarrestabile e in meno di un decennio il gradimento suscitato nei giovani giapponesi da quel modo di scrivere così controverso, ma spontaneo, finì col ripercuotersi nel marketing: il fatto che il mercato giapponese trovasse irresistibile quello stile, fece sì che i marchi che lo adottavano nella propria comunicazione aumentassero considerevolmente le vendite. Contestualmente, riviste e fumetti iniziarono a servirsi di questo stesso stile grafico che negli anni ottanta aveva ormai monopolizzato l’advertising e il packaging dei prodotti giapponesi. È da quel momento in poi che, in seguito al boom dei gadget ispirati a personaggi di anime dagli occhi dolci e sgranati, l’aggettivo kawaii si associa principalmente ad oggetti carini, adorabili, con connotazioni tenere e infantili, solitamente dai colori pastello – come non pensare a Hello Kitty, la gattina bianca e rossa diventata simbolo di una nazione? Con il passare degli anni il termine assume una connotazione diversa, non qualificando più soltanto oggetti inanimati, ma anche e soprattutto uno stile di vita, diventando così una vera e propria cultura, il modo di vivere di una fascia di ragazzi giapponesi che finirà per estendersi fino all’inverosimile, passando ogni confine d’età o stato.
Tornando al contesto occidentale, l’aggettivo kawaii, dal Sol Levante rimbalza su YouTube e Social Network associato ad oggetti, animaletti o personaggi non solo carini, dalle forme arrotondate e dai colori pastello, ma che procurino una sensazione piacevole e appagante e che ispirino altresì un senso di tenerezza. Grazie alle tante YouTuber che adorano questo tipo di oggettistica, la parola diventa virale insinuandosi a poco a poco nel vocabolario delle giovanissime teenager, le quali – per intenderci – diranno che un gattino che gioca con un gomitolo di lana è “carino”, mentre un micino dagli occhioni grandi e le guance piene, che magari mangia anche un gelato, è kawaii!
Altra considerazione da fare, a titolo conclusivo, è che nel 2011 il termine è stato accolto dall’Oxford Dictionary di lingua inglese e, più recentemente, dal Grand Robert di lingua francese (2018), che lo registra nella sua variante kawaï, il che ci fa pensare che il nippo-aggetivo non tarderà a comparire lemmatizzato anche nei nostri dizionari.
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