IGA ovvero Italian Grape Ale, la birra nasce da luppolo e… uva
– Chiedere «Una birra, prego!» è un po’ come entrare in un negozio di musica e dire: «Vorrei uno strumento, per favore!» Questo perché, come gli strumenti si raggruppano in varie categorie (a fiato, a percussione, a corde, ecc), le birre si possono distinguere in famiglie e stili. Al di là delle evidenti differenze cromatiche tra bionde, rosse, bianche e scure (che spesso lasciano il tempo che trovano), esistono dei criteri per catalogare le birre, il più semplice dei quali è il tipo di fermentazione: se bassa, parliamo di lager, altrimenti di ale. All’interno di queste due macrocategorie, esistono poi una serie di suddivisioni che contribuiscono a diversificare ulteriormente la classificazione dei prodotti.
Il primo a divulgare il concetto di “stili di birra” fu lo scrittore inglese Michael Jackson (che amava definirsi “the Beer Hunter” per distinguersi dal suo omonimo, “the Gloved One”) con la sua opera The World Guide to Beer (1977). Con l’affermarsi del movimento artigianale, prima negli Stati Uniti e Inghilterra, e successivamente nel resto del mondo, il concetto di stile ha cominciato a diffondersi al punto che nel 2015 il Beer Judge Certification Program (una delle organizzazioni più importanti a livello mondiale) ne contava a decine, a loro volta suddivisi in sotto-stili.
Anche l’Italia, con la sua rinomata tradizione vinicola, presenta una interessantissima scena artigianale, molto apprezzata a livello internazionale per la sua creatività e per l’uso di materiali indigeni nel processo di birrificazione: testimonianza di ciò è lo stile IGA, il primo universalmente riconosciuto come “Made in Italy”. IGA (da non confondersi con IPA, cioè India Pale Ale) sta per Italian Grape Ale, e designa uno stile di birre caratterizzate dalla presenza di uva – in varie forme – nel mosto: un simile connubio, si configura, oltre che come un vero e proprio ponte tra il mondo della birra e quello del vino, come un chiaro esempio di terroir nell’ambito della bevanda luppolata. Considerando la diversità delle uve del Bel Paese, vien da sé che la varietà di IGA sia altrettanto sterminata, dando vita a una raffinata gamma di prodotti capaci di soddisfare virtualmente ogni gusto.
Come sarà il futuro delle IGA? Contribuirà ad avvicinare il mondo di vino e birra, e a far conoscere la vivacissima scena artigianale agli stessi italiani o verrà percepita come un ibrido(dopotutto nemo propheta in patria)? Ci si augura che la risposta giusta sia la prima, e che la cultura della birra nel nostro paese continui a crescere.
* Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche presso l’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
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