Utopie reali di luoghi altri e dove trovarle: le eterotopie

Utopie reali di luoghi altri e dove trovarle: le eterotopie

Maria Chiara Salvatore
-Esistono dei luoghi della nostra quotidianità che, per quanto familiari e comuni possano apparire, invertono le regole dello spazio e del tempo, le norme sociali, le pratiche culturali. Sono questi i luoghi che il filosofo francese Michel Foucault chiama “eterotopie”. Il termine eterotopia, originario dell’ambito medico dove indica “il fenomeno per cui si originano stimoli di attività funzionale in sede diversa dalla normale” (Treccani, 2012), è composto dalle parole greche eteros, “altro”, e topos, “luogo”, indicando quindi, i luoghi altri, i luoghi differenti. Ma Michel Foucault ne rinnova il semantismo a partire da un altro concetto, quello di utopia. Se l’utopia, nome fittizio creato dal filosofo Sir Thomas More per definire un paese ideale, è una realtà che funge da modello ma che non esiste, un’eterotopia è, dunque, un’utopia reale dell’altrove. “Alcuni luoghi hanno la curiosa proprietà di essere in relazione con tutti gli altri luoghi, ma in modo tale da sospendere, neutralizzare o invertire le relazioni che vengono designate, riflesse o rispecchiate da essi. Tali spazi, per così dire, sono in relazione a tutti gli altri, ma al contempo li contraddicono. […] Per opposizione alle utopie, chiamerò questi luoghi eterotopie” (trad. nostra, Foucault, 2004) (cf. Foucault, Le corps utopique, les hétérotopies, 2009, Paris, Éditions lignes).


“Le utopie”, dice Foucault, “consolano: perché se non hanno un luogo reale, si realizzano comunque in uno spazio magnifico e liscio; spalancano città dalle grandi strade, giardini ben curati, paesi facili, anche se il loro accesso è chimerico. Le eterotopie invece inquietano, se non altro perché minano segretamente il linguaggio, perché impediscono di nominare questo o quello, perché spezzano i nomi comuni o li ingarbugliano, perché rovinano a priori la ‘sintassi’ e non solo quella che costrusice le frasi, ma quella meno evidente che tiene insieme le parole e le cose” (trad. nostra, Foucault, Les mots et les choses, 1966, Paris, Gallimard, p. 9). Per il filosofo francese, le eterotopie sono, dunque, la realizzazione corporea o incorporea di luoghi altri, “assolutamente differenti”, che esistono in ogni città e che sono destinati ad essere cancellati, purificati o neutralizzati, a canalizzare le deviazioni, come nel caso delle cliniche psichiatriche, le prigioni, le case di riposo (Lozano Suárez e Alarcón Consuegra, 2022). Nella celebre conferenza tenutasi a Parigi il 14 marzo 1967, il filosofo approfondisce i principi delle eterotopie e fornisce degli esempi. Un’eterotopia è rappresentata dallo specchio: “lo specchio, dopotutto, è un’utopia” continua Foucault, “perché è un luogo senza luogo. Nello specchio mi vedo dove non sono, in uno spazio irreale che si apre virtualmente dietro la superficie. […] Ma lo specchio è ugualmente un’eterotopia dal momento che esiste realmente, e in cui c’è, sul posto che occupo, una specie di effetto
retroattivo: è a partire dallo specchio che mi scopro assente dal posto in cui sono perché mi vedo lì” (trad. nostra, Foucault, 2004). Altre eterotopie sono incarnate dal cimitero, la città altra, sottosopra, dove “non vivono” i morti, o ancora dal teatro, che giustappone due realtà parallele e coesistenti, una reale, una recitata ma reale, o ancora la prigione, attraverso la quale ci si sottopone ad un rito purificatorio di espiazione del male, o la nave “un frammento di spazio galleggiante, un luogo senza luogo, che vive da sè, chiuso su se stesso e che è portato al tempo stesso dal mare infinito, di porto in porto, di
bordata in bordara, fino alle colonie a cercare ciò che esse racchiudono di più prezioso nei loro giardini” (ibid.).
Il concetto di eterotopia è stato in seguito mutuato da altre discipline, quali l’architettura e l’urbanistica o la geografia (Treccani, 2012), laddove lo spazio altro diventa oggetto di riflessione molteplice e interdisciplinare. Il complesso concetto creato da Foucault, nella sua reale utopia, spinge ad osservare
con critica lucidità lo spazio che ci circonda e riflettere sulle dinamiche che regolano i luoghi del reale, di cui spesso non abbiamo percezione se non quando siamo portati a ragionarvi. Ma al di là dell’interesse lessicale, esistono parole che danno accesso a riflessioni che incarnano il sentire di un’epoca, che consentono di creare una cartografia del reale e osservarlo in modo diverso. Le parole sono luoghi privilegiati di accesso all’altrove, a mondi e concetti altri, creano e ricreano il mondo attorno a noi e la realtà che ne deriva, diventando esse stesse vettori di spazio e di utopie.

*Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di
Napoli “Parthenope”

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Maria Giovanna Petrillo
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Magi Petrillo alias Maria Giovanna Petrillo è professore Associato in Letteratura Francese e giornalista pubblicista. Incardinata presso il Dipartimento di Studi Economici e Giuridici dell’Università degli Studi di Napoli “Parthenope”. Insegna “Abilità Linguistiche in Lingua Francese” e “Civiltà Francofone. Dal 2021 coordina il Collegio Docenti del Dottorato di ricerca in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche. Formatrice CLIL/EMILE. I suoi campi di ricerca riguardano la letteratura francese e francofona dal XIX secolo all’estremo contemporaneo; alcuni lavori indagano la polarità tra giornalismo, cinema e letteratura.

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