Al PAN le identità smarrite di Marco Iannaccone
(Enzo Battarra) – Cos’è l’identità di una persona? Non certo i dati anagrafici e somatici che dovrebbero consentire di riconoscerla. Ecco, al limite quei dati potrebbero essere utili per riconoscere, non certo per conoscere. Ma bastano precisi artefatti cartacei e piccole alterazioni chirurgiche per modificare un’identità anagrafica e somatica e di conseguenza un riconoscimento. Quindi, l’identità è oltre. E’ nella storia personale e collettiva, è in quello che si sente di essere, è nel patrimonio culturale, informativo, emozionale. E non sempre l’identità corrisponde all’immagine che si ha di sé. In tempi come questi, uno strumento identitario può essere anche ristretto a un codice fiscale, a un codice a barre, a un codice QR, insomma a un codice. E nella condizione post-umana ognuno ha un’identità digitale, e ha soprattutto una fisionomia diffusa, legata ai tanti piccoli frammenti di sé che risiedono nel web. E’ come se le ceneri di ognuno fossero già state sparse su internet. Si è come bottiglie i cui cocci sono volati via in forma di tag.
Una mostra che si intitola “Identità smarrite” è intrigante di per sé. Lui è un fotografo dall’immaginario fertile, dirompente, esplosivo. Lui è Marco Iannaccone, ovvero Scarlet Lovejoy. L’esposizione si inaugura venerdì 19 alle ore 16 presso il PAN, il Palazzo delle Arti di Napoli. A curarla è Luca Sorbo.
Si può smarrire l’identità? Non dovrebbe essere possibile, sembrerebbe una contraddizione in termini. Si può smarrire la carta d’identità, ma non l’identità. Eppure, la perdita di se stessi, di quello che si è o si ritiene di essere, è una condizione praticabile. Forse la corsa all’apparire, la corsa ad affermare se stessi a prescindere da quello che si è, facendo compromessi e mediazioni pur di avere una propria visibilità, ha snaturato ogni apparato identitario. Si finirà per cercarsi tra i rivoli del web, per ritrovarsi tra i detriti. La condizione di “lost” è una costante. E l’identità non sempre viaggia al fianco del viaggiatore.
Tutto questo smarrimento identitario Marco Iannaccone lo esprime con immagini da “sopravvivenza visiva”. I protagonisti della scena sono persone che interpretano la loro parte, che non significa necessariamente una finzione. Interpretano il ruolo, emozionano, come mai potrebbero fare delle macchine umane. Intorno a tali personaggi, anche dolorosi, in abiti e atteggiamenti così improbabili da apparire ironici, tutto intorno è un turbinio di colori rarefatti, di sovrapposizioni cromatiche, di velature, di citazioni pittoriche. E si avverte il gusto acre, il sapore di un esercizio sulla memoria. Ecco, la memoria, è quella l’identità riposta, nascosta, l’unica vera identità. Quella che viene prima del volto.
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