Gamification: Giocando s’impara… e non solo!

Gamification: Giocando s’impara… e non solo!

Alessia Battista – “Ciao! Sono Duo. Questi promemoria non sembrano funzionare. Per ora smettiamo di
inviarli”. Quella che hai appena letto è una delle notifiche inviata da Duolingo, una delle prime app di istruzione/educazione in Italia, che si propone di rendere divertente l’apprendimento delle lingue. Il tono passivo-aggressivo è diventato così virale da spingere il team di comunicazione di Duolingo a creare contenuti che propongono il gufetto verde in chiave minacciosa nel tentativo di convincere gli utenti a non interrompere la propria routine di apprendimento quotidiano. Le possibilità di monitorare i propri progressi, di accumulare punti e ricompense, magari scalando una classifica, sbloccando livelli progressivamente più alti sono caratteristiche tipiche di un videogioco che possono essere utilizzate in attività non propriamente ludiche con lo scopo di “rendere gli utenti o i potenziali clienti partecipi delle attività di un sito e interessarli ai servizi offerti” (Treccani). Si tratta del processo di gamification, dall’inglese game (gioco). I primi esperimenti di gamification sono nati in ambito educativo. Diversi psicologi e pedagogisti hanno riconosciuto il gioco come un’importante modalità attraverso la quale è possibile esprimere i propri talenti, ma anche sviluppare nuove abilità e potenziare l’apprendimento (R. Cera, Pedagogia del gioco e dell’apprendimento, 2016). Il primo esempio di gamification potrebbe forse
essere ricondotto al 1967, quando lo studioso Seymour Papert sviluppa LOGO, un linguaggio di programmazione che aiutava i bambini a imparare matematica, lingue, musica e scienze attraverso l’esecuzione di un compito a cui corrispondeva un’azione (nella versione originale, far muovere una piccola tartaruga) sullo schermo del computer. Dalla gamification adottata nelle aule scolastiche si è progressivamente arrivati a una gamification digitale, a portata di smartphone. Le app basate sulle gamification hanno mirano principalmente a stimolare un comportamento attivo e misurabile nell’utente,
facendo leva sui suoi interessi e bisogni. Ciò è concretamente realizzato attraverso delle caratteristiche mutuate dal modo videoludico, quali un sistema di accumulazione punti e ottenimento di ricompense, il raggiungimento di un nuovo livello, la partecipazione a sfide (anche su base settimanale e contro altri utenti) e la possibilità di collocarsi in varie classifiche (per attività o area geografica), l’opportunità di guadagnare o acquistare beni virtuali, come accessori o abiti per il proprio avatar. Talvolta, proprio come nel caso della sopracitata Duolingo, si può anche essere seguiti da un mentore. Tuttavia, l’efficacia della
gamification non si limita all’apprendimento. Infatti, ad oggi sono tantissimi i settori in cui diversi brand o aziende hanno deciso di proporre ai propri utenti delle app con diversi elementi ludici. Alcuni esempi possono includere: Forest, che promette di aiutare non perdere la concentrazione facendo crescere degli alberi ogni volta che non si usa il telefono; Nike, che motiva i propri utenti a correre, camminare, o fare sport; Starbucks, che ha introdotto giochi e sfide attraverso i quali è possibile vincere cibo e bevande.
Anche gli e-commerce hanno ceduto al successo della gamification, come eBay o Aliexpress, nonché gestori di telefonia, come Vodafone, o istituti bancari, come Intesa San Paolo. Inoltre, ci sono diverse applicazioni della gamification in ambito aziendale, come nel caso della catena Marriott Hotel, che propone un gioco in cui gestire il proprio hotel virtuale a coloro i quali si candidano a un’offerta di lavoro, o ancor Cisco e Deloitte che ricorrono alla gamification, rispettivamente, per incentivare la formazione
dei propri dipendenti e migliorarne l’ingresso in azienda. Tutto ciò dimostra chiaramente la validità e la popolarità di questo approccio già da diversi anni. Tuttavia, è solo nel 2002 che il termine gamification viene coniato dallo sviluppatore Nick Pelling durante la realizzazione di un’interfaccia simil-ludica per
sportelli bancomat e distributori automatici. In Italia, invece, il termine è stato annoverato tra i neologismi Treccani del 2013, sebbene esso abbia mosso i primi passi nel nostro Paese già dal 2010 come metodologia didattica. Nonostante ciò, le statistiche di Google Trends Italia dal 2004 a oggi relative alle ricerche del termine gamification mostrano come non solo queste siano aumentate progressivamente nel corso degli anni, ma anche e soprattutto come la query più cercata e in costante aumento sia ancora
“gamification significato”. Si tratta di un dato estremamente interessante: sebbene gamification fosse un neologismo circa 10 anni e oggi siamo davvero circondati dalle applicazioni di questo approccio, il temine non è evidentemente ancora ben conosciuto da tutti.

*Dottorato in “Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche” – Università degli Studi di
Napoli “Parthenope”

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