Una parola al mese. Covidiota e non sapere di esserlo!

Una parola al mese. Covidiota e non sapere di esserlo!

Camilla Nappi*

Lo scoppio e l’evolversi della pandemia di Covid-19 a partire da gennaio 2020 non ha soltanto cambiato le nostre vite, incidendo profondamente sulla nostra quotidianità con tragiche conseguenze sanitarie, sociali ed economiche, ma ha mutato anche il nostro modo di parlare. Secondo la sociolinguista Vera Gheno (Wired 2020), il fenomeno deriva dal rapporto di reciproca influenza che esiste tra lingua e società, tale da far sì che i cambiamenti sociali rilascino delle tracce che si manifestano sul piano linguistico nella creazione di nuove parole – o anche nell’evoluzione di significato di parole già esistenti – scaturite dal bisogno di denominare le nuove realtà che ci circondano. 

Numerosi linguisti (C. Marazzini, In margine a un’epidemia: risvolti linguistici di un virus, “Italiano digitale” XII, 2020; G. Antonelli, L’influenza delle parole, Milano, Solferino, 2020; D. Pietrini, La lingua infetta. L’italiano della pandemia, Treccani, 2021) hanno sottolineato in che misura il momento storico destabilizzante della pandemia abbia comportato invitabili risvolti linguistici come il trasferimento di termini tecnico-scientifici nel lessico comune (dispnea), la proliferazione di parole derivate e composte imperniate sul coronavirus (anti-coronavirus, corona-fake, ecc.), l’accoglimento di prestiti dalla lingua inglese veicolati dal discorso mediatico e giornalistico (lockdown, smart working, ecc.) e la familiarizzazione con sigle e acronimi (OMS).

Il succedersi tumultuoso di così tante nuove parole in breve periodo, provenienti dal flusso continuo di informazioni a cui siamo sottoposti, così come la rapidità con cui evolvono i significati ad esse relativi, ha comportato non poche interferenze sul piano comunicativo. Le nuove parole sono soggette, di fatto, a continue espansioni e fluttuazioni di significato, finendo con l’acquisire accezioni antitetiche rispetto al concetto originariamente denominato e divenendo, talvolta, persino oggetto di “un’appropriazione lessicale” da parte delle comunità di parlanti a cui in realtà sono rivolte. 

Questo è quanto accaduto al neologismo covidiota, una parola macedonia formata dalla combinazione del sostantivo covid e dell’appellativo idiota, comparso nel marzo 2020 in Italia sui social network, come calco dell’anglicismo “covidiot” (Urban Dictionary). Le prime occorrenze figuranti nell’Urban Dictionary, suggeriscono che la parola sia nata in analogo periodo negli USA per designare “un individuo che fa scorte irrazionali di prodotti alimentari sottraendoli al vicino”. Tale definizione sembrerebbe, dunque, richiamare il comportamento globalmente diffuso nelle prime settimane di pandemia, di coloro che affollavano i supermercati per racimolare provviste in vista di un imminente lockdown. Tuttavia, nel corso del tempo, il ventaglio semantico di questo neologismo ha cominciato ad ampliarsi sempre di più, fino ad arrivare ad indicare in modo generico la condotta di chi sottovaluta la gravità della pandemia e che, quindi: “rifiuta di seguire le regole di igiene e le misure di sicurezza stabilite dalle autorità sanitarie per impedire la propagazione del coronavirus” (ad esempio, evitando l’uso della mascherina e il distanziamento interpersonale). 

Come accennato in precedenza, di recente si è verificata, però, un’ulteriore oscillazione di significato di covidiota (Butac 2020), che ha fatto emergere un uso di tale parola con un’accezione diversa, se non addirittura, contraria rispetto al senso che le era stato originariamente attribuito. Questa viene infatti adoperata con un effetto boomerang dai cosiddetti “negazionisti” (Treccani 2020) o “riduzionisti” della pandemia di Covid-19 per screditare “chi crede nell’esistenza del virus e segue in modo ossequio le regole stabilite dalle autorità sanitarie per impedire la propagazione del contagio”. 

Questo neologismo si presta bene ad esemplificare in che misura le nuove parole – e in particolare quelle che nascono come riflesso linguistico di un mutamento sociale squilibrante come la pandemia – evolvano rapidamente, generando progressive evoluzioni di senso e arrivando, talora, anche ad accogliere nella loro schiera di significati delle accezioni tra loro discordanti.

*Dottorato in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche – Università degli Studi di Napoli “Parthenope”

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Maria Beatrice Crisci
Maria Beatrice Crisci 9614 posts

Mi occupo di comunicazione, uffici stampa e pubbliche relazioni, in particolare per i rapporti con le testate giornalistiche (carta stampata, tv, radio e web).Sono giornalista professionista, responsabile della comunicazione per l'Ordine dei Commercialisti e l'Ordine dei Medici di Caserta. Collaboratrice de Il Mattino. Ho seguito come addetto stampa numerose manifestazioni e rassegne di livello nazionale e territoriale. Inoltre, mi piace sottolineare la mia esperienza, più che ventennale, nel mondo dell'informazione televisiva, come responsabile della redazione giornalistica di TelePrima, speaker e autrice di diversi programmi. Grazie al lavoro televisivo ho acquisito anche esperienza nelle tecniche di ripresa e di montaggio video, che mi hanno permesso di realizzare servizi, videoclip e spot pubblicitari visibili sulla mia pagina youtube. Come art promoter seguo alcune gallerie d'arte e collaboro con alcuni istituti scolastici in qualità di esperta esterna per i Laboratori di giornalismo. Nel 2009 ho vinto il premio giornalistico Città di Salerno.

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