Il Pd resta un argine per la democrazia
(Carlo Scatozza) – La sconfitta sul referendum apre l’occasione (forse) per una riflessione non provinciale né da tifosi sul futuro delle politiche del campo democratico e per l’Italia. Matteo Renzi ha caratterizzato il suo governo per alcuni provvedimenti che hanno segnato un punto avanzato nelle esperienze del centrosinistra nella seconda repubblica: unioni civili, legge sul dopo di noi, legge contro il caporalato, l’impegno straordinario per far ripartire il settore turistico-culturale, con l’autentica rivoluzione nella gestione dei monumenti più rilevanti, nel nuovo impulso alla creazione di imprese di culturali. Mi piace ricordare anche che il Ministro Delrio passerà alla storia come l’uomo di governo che più di tutti in Italia ha stanziato le somme più alte di sempre sulla mobilità sostenibile e ciclabile, cambiando un paradigma che voleva il ministero dei trasporti e infrastrutture occuparsi solo di “Gomma e Asfalto”. Non male per un governo che la vulgata grillina vuole solo lobby del petrolio.
Renzi ha in realtà fallito sulla domanda di senso generale del futuro delle generazioni non anziane del paese, quando nelle fasce d’età più giovani viene bocciata 80 a 20 la sua ipotesi di futuro assetto dello stato giudicando anche il suo operato, è così, poco da fare. La prima cosa, per tutti, è il lavoro e la dignità del lavoro.
Questo tema troppo spesso è stato affrontato ricopiando ricette del Fondo Monetario Internazionale stridenti proprio con la critica che Renzi giustamente faceva in Europa sulle regole finanziarie europee. Non si può tuonare contro i vincoli di Schauble e poi togliere l’articolo 18 (l’avevano in pochi si, ma lo sognano in molti) e fare statistica sui voucher. Sui voucher, infatti, non si compie un progetto di vita, non si crescono figli, si campa al massimo la giornata… positiva, ma questo è.
Il ministro Poletti ha portato in dote un po’ di sano pragmatismo emiliano nel settore, ahimè valido in tempi di vacche grasse, ma non nell’affrontare sperimentazioni e per tentare di uscire dai recinti angusti del mercatismo, si è incentrato, inoltre, sul job act il fulcro dello storytelling renziano: questo racconto è stato più forte e dannoso elettoralmente per il Pd (anche alle amministrative scorse) del reale impatto economico avvenuto con luci e ombre, si è realizzata infatti una linguistica e persino mimica torsione neoliberale sulla concezione della dignità del lavoro. Un vecchio sindacalista socialista un giorno a me ragazzo nella Sinistra Giovanile disse: è la cultura del lavoro, come consideri e guardi uno che lavora o che è disoccupato che ci differenzia dalla destra. La concezione del racconto di questi anni è corsa lungo la strada dell’abbattimento del dialogo sociale, che ha avuto come effetto non quello di cambiare il sindacato (che avrebbe bisogno all’interno di profonde riforme), o di dare qualche sicurezza ai cittadini oltre e senza il sindacato, ma quello di far sentire più solo chi lavora, con poche speranze, se non quella del precariato o di una paga con pochi diritti per chi è disoccupato. E’ stata la narrazione del trionfo della eccellenza che meritava di essere visitata e valorizzata più della sofferenza, ma le eccellenze al voto sono molto minori di numero delle milioni di “normalità“ o difficoltà, anche nel mondo dell’impresa che lui ha magnificato ed incoraggiato, infatti questo non è un mondo popolato di Marchionne o Farinetti. E’ fatto anche, soprattutto fra i giovani, di freelance e agenti di commercio che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, è composto di partite iva spesso aperte in mancanza di altro, con piccoli investimenti fatti grazie al tfr o alla casa in più venduta dai genitori che hanno vissuto tempi migliori dei loro. La condizione sociale di questi imprenditori, diversamente da decenni fa, è a volte simile a quella del precario del call center o dell’ ”account” interinale. A questi ceti, cui pure si è dato grande credito nei primi tempi della Leopolda portando ottimamente a conoscenza del Pd che non solo il lavoro dipendente ha bisogno di tutela e stato sociale, si è data poi solo una generica riforma di Equitalia, ovvio positiva ma non bastava di certo per portarli appieno tra le nostre fila in maniera stabile. Il Pd può ripartire, più che dalla sua corrente dissidente (i cui protagonisti tra l’altro non sono del tutto alieni dall’aver iniziato certe politiche) inaugurando una fase di confronto libero, con intelligenze di uomini e donne con senso della realtà. A sud, dove il dramma sociale raggiunge livelli di guardia, Gianni Pittella da molti anni, prima anche della crisi greca, denuncia dal parlamento europeo gli orrori della Europa della finanza costruita in questi anni con l’imprinting dei conservatori europei. Un grido di dolore, ma anche di proposte e sfide per non portare alla distruzione la costruzione europea, unica speranza di pace e libertà anche per le prossime generazioni, ma battendosi per una riforma in senso sociale, a cominciare dai vincoli di bilancio che non consentono politiche sociali necessarie e che aprono le porte alla disperazione dei popoli, anticamera del peggiore neofascismo in molti paesi europei.
Un altro contributo è quello di Vincenzo De Luca, del quale alcuni, sia amici che nemici, amano evidenziare le battute ma non le approfondite analisi sociali e le proposte di buon valore e pragmatismo. De Luca alla conferenza del Mezzogiorno di qualche settimana fa accendeva i riflettori su un sud pronto a esplodere, una gioventù cui subito bisognava dare risposte e che queste avessero un impatto molto alto. Propose 200.000 assunti nella P A del sud, vecchia e inefficiente, con contratti crescenti e di ingresso ma con la grande prospettiva di vita e dignità della stabilità, restituendo dinamismo alla stantia P.A. meridionale, in quell’occasione si alzò ovvio il peana liberista del ministro Calenda a stoppare gli entusiasmi.
L’azione di governo della Regione Campania, per quello che compete, va nel senso di una inclusione sociale perseguita con ogni forza: dal diritto al trasporto gratis per gli studenti (significa risparmio a famiglie di qualche centinaio di euro di media), all’investimento in opere capaci di generare moltiplicatori di crescita e sviluppo, la restituzione della dignità e della salute in alcune zone densamente popolate sfregiate dalle ecoballe. A proposito di questo: De Luca è riuscito a ricevere fondi ingenti dal governo per un’opera faraonica da mezzo miliardo di euro, partita subito, chissà per quanti decenni sarebbero state lì se il nostro governatore non avesse avuto con Renzi una capacità di contrattazione che ricorda i migliori governi catalani verso il governo centrale di Madrid.
Altro esempio di realismo politico e di cultura del fare è Michele Emiliano, la sua sperimentazione del Reddito di Dignità ai pugliesi può e deve aiutare il Pd a superare il “blocco “ ideologico eretto verso misure come il reddito di cittadinanza, almeno nelle aree di maggiore difficoltà e inserimento sociale. In periodi di bassa crescita non possiamo attenderci centinaia di migliaia di posti di lavoro veri creati dal privato, necessario un sostegno a chi è escluso dalle assunzioni possibili, ne va della tenuta sociale di interi territori. Il nuovo Pd che vuol essere ancora di governo, soprattutto al Sud, con o senza Renzi, passa anche dalla riflessione e dall’azione di questi uomini, da fare in un partito che si incontra di più e che maggiormente prova ad ascoltare, anche insieme a forze sociali e politiche ora non nel perimetro delle coalizioni in essere. Lo deve fare perché il Pd è condannato a governare se si vuole un’Italia libera, democratica, senza strane avventure pericolose per la qualità della nostra democrazia e condite dall’incompetenza e dalla “fantascienza” dei Grillini e dal razzismo di Salvini, le vere alternative oggi in campo davvero, il resto è cronaca parlamentare o poco più.
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