Moni Ovadia, un cabaret yiddish con un gusto “asprinio”
(Maria Beatrice Crisci) – “Cabaret yiddish”: questo il titolo dello spettacolo che Moni Ovadia ha portato in scena al Teatro Comunale di Caserta lunedì sera. Autore, attore e regista impegnato da sempre in tante battaglie sociali da irriducibile pacifista ha portato sul palcoscenico un testo scritto, interpretato e diretto da lui stesso. Ad accompagnarlo un quartetto con Maurizio Dehò al violino, Paolo Rocca al clarinetto, Albert Florian Mihai alla fisarmonica e Luca Garlaschelli al contrabbasso. Suono curato da Mauro Pagiaro.
Si potrebbe dire che lo spettacolo abbia la forma classica del cabaret comunemente inteso. Alterna infatti brani musicali e canti a storielle, aneddoti, citazioni che la comprovata abilità dell’intrattenitore sa rendere gustosamente vivaci. Ma la curiosità dello spettacolo sta nel fatto di essere interamente dedicato a quella parte di cultura ebraica di cui lo yiddish è la lingua e il klezmer la musica. Uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”. Tutto questo è ciò che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”, in una parola la diaspora. La musica klezmer deriva dalle parole ebraiche kley zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino ed archi in genere e clarinetto) con cui si suonava la musica tradizionale degli Ebrei dell’est europeo a partire all’incirca dal XVI secolo.
“Ho scelto – dice – di dimenticare la filologia per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali scientificamente determinate per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere santo, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime”.
Nei camerini, poco prima dello spettacolo, un omaggio a questo personaggio di grande generosità d’animo: un Asprinio della Tenuta Fontana. Un vino bianco dal sapore intenso, prodotto dalle uve della classica alberata. Un dono enogastronomico che Moni Ovadia ha gradito molto sottolineando la sua passione per le cose buone. Anche sul palco infatti non ha mancato di ricordare la sua passione per la nostra mozzarella: “La mozzarella in generale, e quella di Caserta in particolare, è una delle pochissime prove dell’esistenza di Dio. Perché una cosa così buona non può essere nata per caso. L’Universo può essere nato per caso, la mozzarella casertana no”.
Il filone del “Teatro civile” iniziato con Moni Ovadia continua il 24 gennaio con Carlo Cecchi e il 20 febbraio con Ottavia Piccolo. E sempre a febbraio, il 18, prenderà avvio con il «Gran Café Chantant” di Tato Russo anche l’altra sezione, quella dei “Percorsi partenopei”.
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