Oltre la corporeità: il “gender” viaggio alla scoperta del Sé
(Michele Bevilacqua) – Termine preso in prestito dalla grammatica, il “genere” (dall’inglese gender), nel campo delle scienze umane, fa riferimento alle differenze sociali e culturali tre le donne e gli uomini all’interno di una singola cultura.
Dal punto di vista linguistico, il “genere” è quella categoria grammaticale che distingue il maschile, il femminile e, in alcune lingue, anche il neutro (cfr. Garzanti Linguistica); una parola può avere un genere diverso anche in lingue imparentate come, ad esempio, è il caso di “mare” che in italiano è di genere maschile, mentre in francese è “la mer”, di genere femminile. Il rapporto tra genere grammaticale e sesso biologico è arbitrario: la non dipendenza è dimostrata anche dal loro numero che può variare, a seconda delle lingue, da zero o più generi. Ad esempio la lingua francese ha due generi, il maschile e il femminile, mentre la lingua russa, invece, ne possiede tre (maschile, femminile e neutro).
Il termine “genere” entra nel linguaggio scientifico negli anni ’50 del Novecento, quando John Money, psicologo neozelandese studioso della sessualità umana, inizia a parlare di gender role (“ruolo di genere”) parlando delle persone intersessuali (chiamate al tempo “ermafroditi”), persone che presentano la coesistenza di caratteri maschili e femminili più o meno intermedi tra i due (cfr. Enciclopedia Treccani). Queste persone avevano da sempre creato problemi agli specialisti della materia al momento di determinare la loro appartenenza ad uno dei due sessi. Money, esaminandole sotto un profilo psicologico, si accorse del fatto che, sebbene dal punto di vista anatomico potessero confondere, data la presenza in una certa misura dei caratteri sessuali di entrambi i sessi, queste si identificavano senza confusione o come maschi o come femmine. In questa situazione il termine “sesso”, anziché chiarire la condizione, creava soltanto confusione visto che il sesso cromosomico poteva, infatti, essere femminile, mentre quello dei genitali era maschile. Nonostante questa confusione, l’identità delle persone intersessuali era distintamente maschile e femminile. Per questo motivo nasceva la necessità di introdurre una parola che parlasse di mascolinità e femminilità non tenendo conto solo dell’anatomia: mentre con il termine “sesso” si indicava solo il 98% della popolazione, il termine “genere” poteva essere applicato a tutte le persone, a prescindere dalla propria anatomia. La proposta di John Money si diffuse velocemente nel mondo scientifico e accademico fino a quando, negli anni ’70, entra nella riflessione e nelle teorizzazioni del movimento femminista. E’ da queste riflessioni che la parola “genere” è entrata a far parte del linguaggio comune con il nuovo significato.
Il “genere”, tramite lo svilupparsi negli ultimi anni degli “Studi di Genere” (o Gender Studies), ha assunto il ruolo di categoria di analisi e interpretazione della conformazione socio-culturale dei ruoli maschili e femminili: maschi e femmine si nasce ma uomini e donne si diventa attraverso il processo di socializzazione che si prospetta diverso per i due nel processo di crescita e sviluppo. L’identità di genere risulta come un processo di apprendimento che si attua attraverso l’interazione sociale e nel contesto di norme e istituzioni sociali; non si possono negare le differenze biologiche tra uomini e donne, ma non si può neanche affermare che siano solo queste a determinarne i comportamenti, gli atteggiamenti, le inclinazioni, le scelte ed altro. Con “genere” si intende, dunque, il significato sociale e culturale assunto dalle differenze sessuali, indicando tutte le caratteristiche e i comportamenti che finiscono per essere associati a maschi e femmine per ciò che ci si aspetta da loro all’interno di una data società.
*Michele Bevilacqua Dottorato di Ricerca in Eurolinguaggi e Terminologie Specialistiche Università degli Studi di Napoli “Parthenope”
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