Pasolini e la generazione corsara
(Enzo Battarra) – Sì, è il 2 novembre. In questa data, nel 1975, moriva Pier Paolo Pasolini. La sua terribile fine è ancora ben conservata nella memoria di tanti. Lui ha rappresentato e rappresenta ancora moltissimo soprattutto per quella generazione che negli anni Settanta frequentava il liceo o l’Università. Sono gli ex giovani del post ’68, quelli che sarebbero stati inevitabilmente una generazione perduta. Invece, l’aver conosciuto attraverso le sue poliedriche opere questo autore ha permesso a molti di esercitare il proprio spirito critico, di poter dire la propria anche quando si era controcorrente. Insomma, Pier Paolo Pasolini legittimava il dissenso, legittimava la possibilità di mettere in campo la propria sensibilità, legittimava di sentirsi a pieno diritto nella sinistra senza necessariamente essere intellettuali organici. E legittimava la speranza che la cultura dal basso fosse la vera rivoluzione.
Orbene, il messaggio di Pasolini era così forte da farsi sostenere attraverso tutti i media di massa dell’epoca. E non erano certo i tagli di censura alle sue opere ad arginare il suo impeto rivoluzionario. Così succedeva che anche nella sonnacchiosa e piccolo-borghese, volendo usare un termine a lui caro, terra casertana un’intera generazione si formava sotto la sua impronta culturale. Che poi Pasolini sia anche venuto a Casertavecchia a girare alcune scene del Decameron nel settembre del 1970 aggiunge certamente quell’aura mitica alla persona. D’altronde, nel 1970 aveva già scritto gli splendidi versi di quell’ode che è “La Terra di Lavoro”, versi del 1956: «Ormai è vicina la Terra di Lavoro, qualche branco di bufale, qualche mucchio di case tra piante di pomidoro…». Insomma, così come in tante altre parti d’Italia, anche in provincia di Caserta veniva allevata negli anni Settanta una “generazione corsara”.
Nel corso dell’ultimo anno ci è stata una legittima rivalutazione delle arti in provincia di Caserta negli anni Settanta con mostre e convegni. E questo è avvenuto in concomitanza con altre iniziative nazionali, in cui si evidenziavano i fenomeni di quella generazione nei vari territori italiani. All’ombra della Reggia si sono sviluppati movimenti e idee che reggono bene il confronto con altre esperienze parallele determinatesi in altre regioni. Ma come si fa a non correlare l’arte nel sociale a Pier Paolo Pasolini? L’idea di coinvolgere nelle performance artistiche un pubblico di strada non era un tentativo di produrre cultura dal basso? Se si potevano reclutare per i film attori tratti dalle borgate, perché non si sarebbe potuta fare una “chiamata alle arti” partendo dai ragazzi di periferia fino ad arrivare agli studenti, ai lavoratori, ai disoccupati?
Oggi i protagonisti della cultura nazionale per la maggior parte hanno avuto proprio una formazione negli anni Settanta e Ottanta, perché nel ciclo della vita questo è il loro momento anagrafico. Questo turno generazionale sta valendo anche per il “modello Caserta”, cioè quel fenomeno che ha determinato la nascita di tanti talenti nel cinema, nel teatro, nella musica, nella letteratura, anche nelle arti visive, talenti legati a una formazione avvenuta tra la metà degli anni Settanta e gli Ottanta, riuscitisi a imporre pur provenendo tutti da una provincia che allora come oggi continua a navigare negli ultimi posti delle classifiche nazionali per consumo di cultura e qualità della vita. E’ questo il paradosso casertano di una generazione corsara. Nel segno di Pier Paolo.
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