Revenge porn e slut shaming, dove la vittima diventa colpevole
– Il problema del revenge porn è sicuramente di natura culturale: i giovanissimi non hanno la percezione della gravità delle azioni descritte e il materiale una volta diffuso potrà sempre essere reso pubblico danneggiando la sfera affettiva e psicologica di una persona anche a distanza di anni. Un recente studio del 2018 dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza in collaborazione col portale skuola.net ha rilevato che il 6% dei giovanissimi fra gli 11 e i 13 anni invia abitualmente proprie immagini a sfondo sessuale per via telematica, con una prevalenza (2 su 3) di ragazzine. Aumentando l’età (14-19 anni) aumenta la percentuale (19%) di chi invia, anche al solo partner, materiale intimo (Skuola.net 2018). Attualmente, la situazione del revenge porn in Italia sta raggiungendo picchi preoccupanti, i numeri raccontano di due casi al giorno in cui sono spesso sono coinvolte le giovanissime, con un aggravamento della situazione dopo il lockdown (La Repubblica 2020). A novembre 2020, infatti, risultano 1083 le indagini in corso.
È ancora impressa nella memoria la triste vicenda che ebbe come protagonista Tiziana Cantone, suicidatasi a Mugnano di Napoli nel settembre del 2016 e vittima del revenge porn e del conseguente slut shaming. Questi due termini stanno a indicare, in buona sostanza, la “vendetta porno” e la conseguente colpevolizzazione della vittima di abusi sessuali, in quanto donna sessualmente attiva e perciò meritevole dell’azione di “accusare la sgualdrina”.
Per chi non la ricordasse, la ragazza trentunenne, dopo aver subito una gogna sul web con la diffusione di alcuni video privati sulla piattaforma internet, e dopo aver cercato giustizia con svariate denunce tutte archiviate dopo la sua morte, decise di togliersi la vita.
Uno degli ultimi episodi, balzato agli onori della cronaca, riguarda una giovane maestra di asilo di ventidue anni di Torino, vittima di revenge porn e di slut shaming. “Uccisa dentro”. Così si è sentita, quando la sua fiducia è stata tradita in quella primavera di due anni fa, quando alcune immagini, e un video dai contenuti sessuali espliciti di questa giovane maestra, furono inviati all’allora fidanzato, un calciatore dilettante, che pensò bene di diffonderle in un gruppo WhatsApp di cui facevano parte alcuni amici del calcetto. Le immagini finirono sotto gli occhi della moglie di uno degli amici che riconobbe la ragazza come una delle maestre di sua figlia, e spedì, con la complicità del marito, le foto ad altre mamme e — stando alle accuse della Procura — arrivò a minacciare la ventiduenne di mettere al corrente la direttrice scolastica se avesse sporto denuncia contro l’ex fidanzato. La maestra non si lasciò intimorire e presentò querela, ma le fotografie continuarono a circolare. In preda alla disperazione, la ragazza si rivolse alla direttrice scolastica raccontandole dell’accaduto, ma la direttrice pensò bene di convocare una riunione alla presenza di tutte le maestre, sottoponendola a una specie di processo, al pari di una moderna Hester Prynne, protagonista del romanzo La lettera scarlatta (The Scarlet Letter), pubblicato nel 1850 dallo scrittore statunitense Nathaniel Hawthorne. La maestra, poi, fu costretta a licenziarsi. Una vicenda che ha dell’incredibile e che ha avuto una prima risoluzione ai primi di dicembre del 2020 nell’aula del Tribunale di Torino: nel banco degli imputati, c’erano la direttrice della scuola materna e una donna, mamma di uno dei bambini iscritti, che aveva diffuso le sue foto private innescando il linciaggio online. L’accusa per entrambe è quella di diffamazione, e la direttrice deve anche rispondere dell’accusa di violenza privata. In questo intreccio degno di una soap-opera è passato in secondo piano il primo colpevole, l’ex fidanzato dell’allora ventenne, che ha invece chiesto la messa in prova ai servizi sociali dopo aver pagato un risarcimento.
Innumerevoli sono state sia le dimostrazioni di vicinanza date alla maestra, anche dall’attuale sindaco di Torino Chiara Appendino, ma ciò che è accaduto è la riprova della catastrofica situazione che vivono le donne in Italia quando subiscono atti del genere, quando la vittima diventa colpevole perché in fondo “se l’è cercata”, e anche perché “una maestra non potrebbe fare quelle cose” (Il Fatto Quotidiano 2020).
Al di là dell’aspetto psicologico, ciò che risulta devastante è l’assoluta mancanza di solidarietà, della maggior parte delle colleghe della vittima, misto ad un pruriginoso voyeurismo. Alcune insegnanti, però, hanno voluto dimostrare la loro vicinanza alla maestra esponendo il proprio corpo nella campagna #teachersdosex, singolare iniziativa dell’artista Andrea Villa, attraverso l’affissione, fuori dalle scuole di Torino, di selfie in cui posavano nude (Rolling Stone 2020).
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