No logo, l’insostenibile leggerezza del brand Reggia di Caserta
Enzo Battarra – No logo è un saggio della giornalista canadese Naomi Klein, pubblicato nel gennaio del 2000. Il libro si occupa principalmente del fenomeno del branding.
La Reggia di Caserta comunica da sola, la sua forza architettonica è tale che il monumento riesce a parlare al mondo senza la necessità di essere veicolato da un marchio. Ma la società attuale, si sa, non riesce proprio a fare a meno di un logo. E allora ben venga un simbolo, un’immagine che sintetizzino il luogo, la funzione, rendendo facilmente riconoscibile il capitale culturale sotteso.
Tutti si erano legittimamente abituati al fatto che il logo della Reggia fosse la sua planimetria, con il gioco delle quattro corti elaborato dal grafico casertano Alberto Grant. Era una buona soluzione per dare una riconoscibilità diversa al Palazzo, non attraverso la sua facciata, che potrebbe apparire una soluzione consueta, ma tramite la sua visione dall’alto. In questo, anticipando anche le attuali prospettive di lettura dei monumenti, oggi sempre più visti a volo d’uccello grazie alle immagini realizzate dai droni.
Ma all’attuale Direzione della Reggia quel logo non è andato più bene, anzi lo ha di fatto vilipeso. Ci voleva una nuova identità visiva. I motivi? Diversi e tutti opinabili, il primo è che ogni vertice vuole lasciare sempre il proprio segno, è il caso di dire. Il Gattopardo, sì quello di Tomasi di Lampedusa, ricordava che tutto cambia perché nulla cambi. Si è ritenuto, sostituendo il logo precedente con questi caratteri calligrafici che simulano svolazzi di corte, di essere più alla moda. Peccato che, per quanto inappropriato, il nuovo logo si porti dentro anche le stimmate di altri brand utilizzati per gli impieghi più disparati, mal conciliabili con la maestosità di questo edificio storico. Insomma, non è questione di essere innovatori o conservatori e non è nemmeno una questione di gusto. Semmai di buongusto. Tutto è modificabile e migliorabile, ma guardando avanti.
Ed è così. Ora la forza della Reggia vanvitelliana è nelle mani di un leggiadro ed effimero incrocio tra una R e una C, incrocio che porta alla memoria più facilmente Reggio Calabria o Raffaele Cutillo che non il bene Unesco di Caserta. Ma una certezza c’è. La Reggia è superiore a ogni tentativo di inadeguata rilettura grafica. E il mondo sa già con che occhi guardarla, anche senza logo.
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